VINCENZO SCIAMÉ

Vincenzo Sciamé autore che suscita ammirazione per la sua inventiva, la sua freschezza e anzitutto per la sua corretta filologia espressiva, testimonia il più saldo accordo della misura classica e degli umori più accreditabili dell’estetica contemporanea. Anche lui ripropone, in chiave attuale, il rappel à l’ordre reclamato, sul finire del secondo decennio del secolo scorso, da Dunoyer de Segonzac; e poi, negli ultimi anni Quaranta, da Brianchon; e da noi, nel corso del secondo cinquantennio del Novecento, da Rosai, da Purificato, dallo stesso Guttuso e, magari in iperbo- le, dall’iperrealismo sciltianiano. Vincenzo Sciamé può dunque considerarsi schierato decisamente con coloro che nella loro opera cercano di contrastare il “massacro dell’arte”. La sua gamma smagliante che, come scrive Turi Sottile, risente «della luce accecante, irripetibile, che modifica e accende con prepotenza i colori», e la sua struttura compositiva, ardita e castigata a un tempo, intramata d’inquietanti ma sempre creative fratture, disposta al suggerimento simbolistico ma per nulla svincolata dal rapporto oggettivo, dichiarano un linguaggio apertissimo, ma incardinato ai valori irrinunciabili della sintassi professionale.